L'unificazione italiana rappresentò per Livorno l'avvio di una nuova fase, caratterizzata da un riassetto del tessuto economico e sociale della città.
Il punto di svolta risale al 1868, quando venne resa operante la legge che aboliva, a Livorno e in altre realtà italiane, lo status di porto franco. In un breve arco di tempo, la città mercantile lasciò spazio ad una massiccia industrializzazione. Esemplificativo, in proposito, il numero degli operai occupati nelle maggiori fabbriche cittadine nel 1886: il cantiere navale Orlando ne contava 1140, la Società Metallurgica Italiana 600, la Società Vetraria Italiana 270, mentre la Società Ceramica Livornese 250. Quasi tutte le attività industriali, ad eccezione del cantiere Orlando, erano situate nel sobborgo di Torretta, nelle vicinanze della stazione di San Marco.
Tuttavia, non particolarmente rilevanti furono i cambiamenti urbanistici che investirono la città. L'ampliamento verso sud della cinta per la riscossione del dazio comunale (con l'apertura di Barriera Margherita e Barriera Roma), le trasformazioni del vecchio lazzaretto di San Jacopo per stabilirvi la sede dell'Accademia Navale (in seguito estesa anche all'adiacente lazzaretto di San Leopoldo), la costruzione di scuole e spazi di pubblica utilità, come il Mercato delle vettovaglie, oltre all'iniziativa di alcuni privati per la realizzazione di infrastrutture legate alla villeggiatura e al crescente turismo balneare, come l'Hotel Palazzo, rappresentano gli episodi più significativi dell'ultimo scorcio dell'Ottocento.